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L'adozione di un'etica utilitaristica nella vita è una necessità che esige però il pagamento di un prezzo enorme.
Avete perso la festosità della vita.
Se tutte le vostre potenzialità sono portate a fioritura la vita diviene una festa, una celebrazione.
Allora l'intera esistenza è una cerimonia.
Ecco perché affermo sempre che religione significa trasformare la vita in una celebrazione.
La dimensione religiosa (e non intendo le sette di varie divinità con il termine religione) è quella festosa, del non utilitario, del gratuito.
La Mente Utilitaristica non deve essere scambiata per l'intera.
Quanto rimane... la parte maggiore... la totalità della mente.. non deve essere sacrificata.
La mente utilitaristica, non deve divenire il fine.
Non deve essere soppressa: deve essere usata come mezzo.
L'altra - quanto rimane, la parte maggiore, il potenziale - deve divenire il fine.
Questo è quando intendo per approccio religioso.
In un approccio religioso, la mente orientata al raggiungimento di un utile (utilitaria) diviene il fine.
Quando ciò succede, l'inconscio non ha più alcuna possibilità di porre in atto le sue potenzialità.
Viene negato.
Se l'utilitario diviene il fine, vuol dire che il servitore ha preso il posto del padrone.
L'intelligenza, la restrizione, la concentrazione della mente, è uno strumento utile alla sopravvivenza, non alla vita.
La sopravvivenza non è la vita.
La sopravvivenza è una necessità - mantenersi in vita nel mondo materiale è giocoforza - ma il fine ultimo rimane sempre quello di raggiungere alla fioritura delle proprie potenzialità; di tutto quello di cui siete nati.
Quando vi siete realizzati pienamente, quando più nulla dentro di voi è ancora soltanto in germe, quando tutto si è attuato, è giunto a fioritura, allora e soltanto allora potrete sperimentare la beatitudine, l'estasi della vita.
La parte che avete rinnegato, l'inconscio, può divenire attiva e creativa soltanto se arricchite la vostra vita di una nuova dimensione: la dimensione del festoso, del gioco.
La meditazione, di conseguenza non deve essere un lavoro, ma un gioco.
Pregare non è un affare serio, ma un gioco.
Meditare, riflettere, prendere consapevolezza non è un'attività finalizzata all'ottenimento di uno scopo (pace, felicità, scelte di vita...), ma qualcosa di cui si deve gioire come fine a se stesso in modo del tutto naturale e automatico.
La dimensione gioiosa è la cosa più importante da cogliere... e l'abbiamo persa totalmente.
Per festoso, gioioso, intendo la capacità di gioire, momento per momento, di tutto quello che vi tocca.
Vi porterò un esempio chiarificatore: io vi sto parlando.
Se sono ansioso del risultato, questo parlarvi diviene un occupazione, un lavoro.
Se invece mi indirizzo a voi senza alcuna aspettativa, senza alcun desiderio circa il risultato che le mie parole sortiranno, allora parlarvi diviene un gioco.
L'atto stesso in sé, è il fine.
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