Osserviamo certi politici, certi mistici, santoni, predicatori di ogni razza e colore che sono convinti che rinunciando al potere fanno il bene del popolo, lo hanno fatto perché convinti che rinunciando, lasciano l’individuo libero, ma vi avevano, in realtà rinunciato soltanto sotto certi aspetti: perché se vi avessero rinunciato completamente non avrebbero proclamato certe dottrine, non avrebbero fatto del bene il loro bene, hanno solo rinunciato al potere coercitivo, ma non quello della persuasione!
C’è però un enorme differenza fra il potere come desiderio e quello fine a sé stesso.
Chi lo desidera come mezzo ha avuto qualche forma di desiderio e vuole trovare la condizione per realizzarlo.
Chi invece desidera il potere come fine, sceglie il suo scopo alla luce delle possibilità buone o cattive per arrivare e realizzarlo anche sulla pelle degli altri.
Un piccolo esempio per meglio comprendere: chi desidera attuare certe misure, prende parte alla vita pubblica (politica), chi lo vuole esercitare come successo personale accetta qualsiasi programma gli sembra atto a questo desiderio, anche se sarà un compromesso; per comprendere meglio, il mio pensiero va a Cristo nel deserto, gli vengono offerti tutti regni della Terra se si fosse piegato ad adorare Satana; pensate gli viene offerto il potere per raggiungere il Suo Disegno, il Suo scopo, che non erano quelli che Egli voleva per raggiungere il suo scopo.
Ecco! Questa tentazione è esposta a tutti gli uomini moderni!
Vi dico: se l’amore del potere deve essere benefico occorre collegarlo ad un fine diverso che quello del potere puro e semplice.
Bisogna tener presente che c’è un’altra condizione alla quale l’amore per il potere deve soddisfare se vuole essere benefico, dovrà collegarsi a qualche scopo in armonia con i desideri delle persone che risentiranno gli effetti di quello scopo, inoltre i mezzi per realizzare tali scopi non dovranno avere scopi secondari in numero così grande da controbilanciare la bontà del fine.
L’amore per il potere, come la lussuria è tanto forte da influenzare le azioni degli uomini più di quanto si pensi.
L’etica del potere dipende dalle forme d’amore che si ha per esso e dal temperamento di ogni uomo, la morale del potere non deve essere distinto in legittimo e altri come illegittimi.
Questa morale ha due aspetti, almeno dal tempo dei profeti ebraici in poi; da una parte l’istituzione sociale, dall’altra un fatto di coscienza individuale, la morale positiva è più antica di quella personale, e forse più antica della legge stessa e del governo.
L’esempio più ovvio dell’alleanza fra morale etica e potere è l’imposizione dell’obbedienza: i bambini hanno (avevano) il dovere di obbedire ai genitori, la moglie al marito, i servi ai padroni, i sudditi ai principi, i portaborse ai politicanti e così via.
Rispondete a questo quesito: c’è per voi una dottrina etica per quanto riguarda il potere?
Se la vita sociale deve appagare i desideri sociali, essa dovrà fondersi su qualche filosofia che non derivi dall’amore per il potere.
Una riflessione
Si faccia distinzione sul piano logico tra legge – Stato – potere: lo Stato fonda la sua prassi sulla sanzione, sulle disuguaglianze di classe, mentre la Legge fonda la sua prassi sul consenso, ovvero sulla ragione, sull’abbattimento dei privilegi di classe, cioè sulla difesa del più piccolo dal più forte.
Lo Stato non è quel che si vorrebbe che fosse, ma è quello che si è storicizzato a fatti, con i suoi “corpi separati”.
La legge (scritta o non scritta) è l’assetto statuale non identificato, anzi la loro genesi è antitetica.
Lo Stato s’impossessa della lettera della Legge per codificare disuguaglianze.
Stato come espressione attuale di privilegio; la Legge espressione di libertà e abbattimento di ogni privilegio di classe, alla luce del mondo dei Profeti.